L’ora delle riforme, l’esempio francese
L’Italia ha bisogno di un cambiamento radicale nella struttura istituzionale se vuole mantenere un ruolo da protagonista sulla scena europea e mondiale, o più semplicemente, non arrancare nella mediocrità. Molte forze politiche hanno sottolineato l’esigenza di una rivoluzione, non eversiva certo, che segni però una soluzione di continuità rispetto al passato. Da anni ci culliamo nell’idea di essere passati dalla prima alla seconda Repubblica e magari alla terza, lasciando intatto il quadro costituzionale. I media hanno contribuito ad amplificare questa sensazione e questa illusione collettiva. La verità è che siamo rimasti al palo. La situazione crea non pochi equivoci: i partiti indicano un nome in cima alla loro lista elettorale come Presidente. Può essere individuato, in caso di stallo, un Presidente del consiglio diverso da quello a capo della coalizione vincente? O si dovrebbe andare subito a nuove elezioni?
Il mancato cambiamento delle regole induce a dare risposta affermativa alla prima domanda e del resto una conferma sta nella realtà della vita istituzionale. Il Presidente della Repubblica ha dato legittimamente un incarico al Presidente Monti non eletto, proprio perché le regole, al di là delle etichette, non sono cambiate. E ancora, le consultazioni per la formazione del nuovo governo – con quel margine limitato di discrezionalità che vi è insito – si fanno perché il quadro costituzionale è rimasto immutato. Insomma, i francesi sono passati dalla prima repubblica alla seconda e così via a suon di riforme costituzionali. Non possiamo illuderci di essere noi gli unici che ottengono il risultato senza cambiare nulla.
A questo riguardo la legge elettorale non è tutto, ma certamente è la prima emergenza. Non avrebbe senso tornare a votare con la stessa legge elettorale, il “porcellum”. Una legge che ci condanna all’ingovernabilità, che ha dato alle ultime elezioni un vincitore che è stato costretto a dichiarare di non aver vinto. Ma la scelta della legge elettorale dovrebbe guardare all’assetto più generale delle istituzioni e al rapporto tra le forze politiche.
Queste ultime appaiono chiuse nei loro steccati ed incapaci di formare un governo. Il sistema è inceppato e si cercano sforzi di fantasia per dare una risposta. Il fatto è che se i partiti non sono in grado per veti reciproci di arrivare ad una maggioranza parlamentare, a scegliere deve essere il popolo sovrano. Come richiedeva Bersani prima delle ultime elezioni, la sera delle votazioni il popolo italiano e il mondo intero avrebbero dovuto sapere chi governa l’Italia. Abbiamo visto com’è finita.
Altro profilo: il ruolo del Presidente della Repubblica. In politica come in natura, il vuoto non esiste. Se un’istituzione non funziona, è assolutamente normale che altre allarghino il proprio spazio. Con Napolitano siamo stati fortunati. È una persona di grande competenza istituzionale e politica. È autorevole all’interno e all’estero, ha senso dell’equilibrio e dell’interesse generale. Ma possiamo tranquillizzarci che andrà sempre bene? Come sceglieranno i partiti? Grillo preannuncia una consultazione via internet, ma a questa partecipa solo chi vuole e chi è iscritto. La legittimazione all’esercizio di funzioni che non sono più, nella realtà, di mera garanzia tra le forze politiche, va attribuita sì dai cittadini, ma con elezioni politiche, non con surrogati.
Le due esigenze sopra richiamate inducono a ritenere che il sistema migliore per la nostra realtà sia quello francese: maggioritario a doppio turno e semipresidenziale. È il popolo che deve dire da quale coalizione vuole essere governato. Ed è il popolo che deve eleggere il Presidente della Repubblica, dotato di poteri concreti.
Accanto a questa riforma, altre se ne impongono. La creazione del Senato delle regioni e la revisione del titolo V della Costituzione. Così com’è, il sistema non funziona. Le vere rivoluzioni richiedono una guida centrale forte. Oggi le Regioni sfornano leggi, che complicano il sistema invece di semplificarlo. Anche le leggi di risparmio e quelle di apertura dei mercati sono intralciate da un malinteso senso dell’autonomia. Occorre rivederne l’impianto guardando all’interesse degli amministrati e non a quello delle strutture, politiche o burocratiche che siano. Assistiamo impotenti al ‘gold plating’: una competizione tra Stato e Regioni ad aggiunger norme a quelle prodotte dall’Unione europea. Anche qui, dovremmo guardare alla Francia. Il nostro sistema da sempre è stato modellato sull’esempio francese. Assumiamo quel modello in termini di maggiore efficienza.
Non dovrebbe essere particolarmente complicato farlo, se rinunciamo a introdurre varianti italiane al modello stesso. Se le forze politiche smetteranno di legiferare pensando al loro immediato tornaconto, ma al corretto funzionamento delle istituzioni nel futuro, la ruota girerà. Usiamo un modello già sperimentato, non dobbiamo avere paura di copiare.
Ma forse prevarrà la logica del minimo indispensabile e dell’urgenza. Si reintrodurrà il “mattarellum”. Meglio che niente, ma non reclamizziamolo come seconda o terza o quarta repubblica!