TLC: Il punto di Carlo Malinconico sulla fatturazione a 28 giorni
La vicenda
Nel 2015, con una mossa coordinata, le compagnie di telefonia avevano modificato il periodo di fatturazione ordinario, ancorato al mese commerciale o a quello solare, in quello, del tutto nuovo, basato su addebiti quadrisettimanali (cd. fatturazione a 28 giorni).
L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM), con delibera del 15 marzo 2017 aveva imposto uno stop, almeno parziale, a tale pratica commerciale, ritenendo la contrastante con le esigenze di tutela dei consumatori quanto a trasparenza, chiarezza e comparabilità delle offerte. In particolare, l’Autorità ha previsto che per la telefonia fissa la cadenza di rinnovo delle offerte e della fatturazione deve essere su base mensile o suoi multipli. Per la telefonia mobile la cadenza non può essere inferiore a quattro settimane. In caso di offerte convergenti con la telefonia fissa, prevale la cadenza relativa a quest’ultima.
Le compagnie telefoniche, tuttavia, hanno mantenuto la fatturazione a 28 giorni e, pertanto, l’AGCOM con delibere del 19 dicembre 2017, ha sanzionato le società Tim, Vodafone, Wind Tre e FastWeb con la sanzione amministrativa di euro 1.160.000,00 e le ha diffidate a ripristinare il ciclo di fatturazione mensile e a stornare gli importi corrispondenti all’erogazione del servizio a causa del disallineamento fra ciclo di fatturazione quadrisettimanale e ciclo di fatturazione mensile.
Sulla materia era nel frattempo intervenuto il legislatore, che con la L. 4 dicembre 2017 n. 172 ha introdotto un nuovo comma all’art. 1 del D.L. 31 gennaio 2007, n. 7 (cd. “Decreto Bersani”) stabilendo che “i contratti di fornitura nei servizi di comunicazione elettronica […] prevedono la cadenza di rinnovo delle offerte e della fatturazione dei servizi, …, su base mensile o di multipli del mese”. Il legislatore ha anche previsto che gli operatori di telefonia avrebbero dovuto adeguarsi alle disposizioni entro “120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto”, e quindi, entro il 5 aprile 2018. Si poneva, quindi, il problema del coordinamento della disposizione legislativa con le delibere dell’AGCOM.
Il ricorso al Tar e le conseguenti ordinanze cautelari
Tutte le delibere dell’Autorità sono state impugnate dalle compagnie telefoniche al T.A.R. del Lazio, con richiesta di sospensione cautelare.
Detti ricorsi eccepivano che la legge n. 172 del 2017 avrebbe modificato il quadro normativo, abrogando la delibera AGCOM n. 121/17/CONS e che, quindi, le Società dovrebbero rispettare unicamente quanto previsto dalla legge n. 172 del 2017, con i termini previsti da quest’ultima. L’AGCOM, pertanto, dopo l’entrata in vigore della predetta disciplina legislativa, avrebbe dovuto arrestare l’iter sanzionatorio, con la conseguenza che le sanzioni irrogate sarebbero illegittime.
L’istanza cautelare e stata parzialmente accolta dal Tar del Lazio, con ordinanza 12 febbraio 2018, ma solo con riferimento all’ordine di ‘stornare’ le somme versate dai consumatori direttamente a questi ultimi, rilevando che l’impossibilità di determinare con precisione l’ammontare di tali restituzioni e l’eventuale difficoltà di una loro ripetizione dai consumatori in caso di esito favorevole per le compagnie telefoniche, avrebbe potuto determinare criticità finanziarie per le Società.
Il successivo nuovo intervento dell’Autorità
A seguito di tali ordinanze, l’AGCOM, con determinazioni del 1 marzo 2018, ha revocato in parte qua le singole delibere adottate nei confronti degli operatori telefonici e ha ordinato alle società, anziché lo storno economico (con pagamento diretto ai consumatori) dei giorni che sarebbero stati “erosi” mediante la permanenza della fatturazione a 28 giorni durante il periodo di vigenza della delibera 121/17/CONS, un diverso metodo di ristoro: l’emissione tardiva della prima fattura che sarebbe stata regolarizzata con ritorno al periodo mensile.
Anche tale determinazione è stata impugnata da parte delle compagnie, che hanno obiettato che in tal modo era stata sostanzialmente violata l’ordinanza con la quale il T.A.R. aveva sospeso l’ordine di storno.
Prima, tuttavia, della camera di consiglio dell’11 aprile 2018, il presidente dell’AGCOM, con decreto del 9 aprile 2018, è intervenuto nuovamente al fine di “fissare nuovi e più congrui termini per l’adempimento degli operatori agli obblighi di cui alle stesse delibere (…)”. Il decreto del presidente della Autorità è stato ratificato con delibere dell’Autorità medesima, che quindi con la delibera n. 269/18/CONS ha imposto agli operatori di adempiere alla diffida “tramite la completa restituzione dei giorni erosi, entro il 31 dicembre 2018”.
Tutte queste delibere sono state, a loro volta impugnate, perché – nel confermare la misura di restitutio in integrum a favore dei consumatori – avrebbero eluso l’ordinanza cautelare del 12 febbraio 2018.
La sentenza del T.A.R. del Lazio
Il T.A.R. ha ritenuto, innanzitutto, legittimo l’intervento dell’Autorità, il cui potere regolatorio trova fondamento nella direttiva quadro sul servizio universale di comunicazioni elettroniche 2002/21/CE, che all’art. 8 individua gli “obiettivi generali e i principi dell’attività di regolamentazione”. Il successivo intervento legislativo, “deve essere interpretato come una forma di perfezionamento e specificazione di un potere generale già attribuito all’Autorità ai sensi dell’art. 71 CCE” e non “quale singolare forma di indulto o sanatoria per le pratiche poste in essere nel 2017, in data antecedente alla entrata in vigore delle norme”, considerato che “fra l’art. 19 quinquesdecies del d.l. 148/17 (poi convertito in legge n. 172/2017) e la contestata delibera n. 121/17/CONS non sussiste alcun contrasto … per cui non può in alcun modo sostenersi che in base ai principi di gerarchia delle fonti …… la norma di rango primario, introducendo disposizioni di dettaglio, avrebbe avuto un effetto abrogativo e/o derogatorio implicito della norma di rango secondario con essa incompatibile ancorché preesistente”.
Inoltre “La previsione, in sede normativa, di un termine di 120 giorni, superiore a quello di adeguamento previsto nella delibera, non è sufficiente quindi a dimostrare che fino a quel momento (ossia fino al 5 aprile 2018) tale condotta non potesse essere qualificata come illecita e non potesse sanzionata, attesi i differenti presupposti normativi sui quali si fonda la determinazione n. 121/2017”.
Il Tar ha sottolineato che, in base alla normativa dell’Ue, le Autorità nazionali devono orientare la propria azione al fine di: assicurare che “gli utenti, compresi gli utenti disabili… traggano il massimo beneficio sul piano della scelta, del prezzo e della qualità” dalla fornitura dei servizi di comunicazione elettronica (cfr. art. 8, § 2, lett. a) della Direttiva; le medesime Autorità debbono altresì garantire “che non abbiano luogo distorsioni e restrizioni della concorrenza nel settore delle comunicazioni elettroniche” (cfr. art. 8, § 2, lett. b) ed assicurare un “livello elevato di protezione dei consumatori predisponendo procedure semplici e poco onerose di composizione delle controversie espletate da un organismo indipendente dalle parti in causa” (cfr. art. 8, § 4, lett. b), oltre a promuovere “la diffusione di informazioni chiare, in particolare imponendo la trasparenza delle tariffe e delle condizioni di uso dei servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico” (cfr. art. 8, § 4, lett. d).
Il potere di intervento in materia dell’Autorità trova, inoltre, fondamento nelle norme contenute nella legge istitutiva delle Autorità per i servizi di pubblica utilità, competenti per energia elettrica, gas e le telecomunicazioni (cfr. legge 14 novembre 1995, n. 481) nonché nella legge istitutiva dell’AGCom (cfr. legge 31 luglio 1997, n. 249). In linea generale, infatti, la legge n. 481/1995 attribuisce all’Autorità il compito di promuovere la tutela degli interessi di utenti e consumatori, tenuto conto della normativa europea in materia.
Nel merito, poi, il Tar ha affrontato la questione della legittimità della diffida a “stornare gli importi corrispondenti al corrispettivo per il numero di giorni che, a partire dal 23 giugno 2017, non sono stati fruiti dagli utenti in termini di erogazione del servizio a causa del disallineamento fra ciclo di fatturazione quadrisettimanale e ciclo di fatturazione mensile” e dell’irrogazione della sanzione pecuniaria di 1.160.000 euro.
In relazione al primo profilo, i giudici hanno osservato che, successivamente, l’Autorità aveva ordinato alle compagnie, anziché il predetto storno economico con pagamento diretto agli utenti, l’emissione tardiva della prima fattura relativa al ritorno alla fatturazione mensile, con conseguente sopravvenuta carenza di interesse per questa parte del ricorso introduttivo.
Con riferimento alla sanzione, invece, il Tar ha osservato che la sanzione applicata è stata modificata dall’art. 1, comma 43, della legge n. 124/2017 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza), entrata in vigore il 29 agosto 2017, con riferimento alla massimo edittale della sanzione prevista, con la conseguenza che avrebbe dovuto applicarsi il precedente sistema sanzionatorio, considerato che la violazione si era consumata nel mese di giugno 2017, allo spirare del termine concesso dall’Autorità agli operatori per l’adeguamento delle proprie offerte alle prescrizioni, in data quindi antecedente l’entrata in vigore della predetta modifica normativa. Il Tar ha quindi annullato la sanzione di 1.160.000 euro, rinviando all’Autorità per la rideterminazione dell’importo” (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 21 dicembre 2018, nn. 12481/18, 231/2019, 1956/2019, 5842/2019).
Il giudizio dinanzi il Consiglio di Stato. Il diritto allo storno immediato a favore dei consumatori
Contro le sentenze del T.A.R. le compagnie telefoniche hanno presentato appello al Consiglio di Stato, il quale – con le ordinanze del 21 maggio 2019 – ha rigettato l’istanza cautelare tendente alla sospensione degli effetti della sentenza del Tar. La pronuncia in sede cautelare del Consiglio di Stato, pur in attesa della sentenza definitiva, per la quale è stata fissata l’udienza del 4 luglio 2019, afferma un principio importante per i consumatori. Le ordinanze, infatti, rilevano che non è possibile differire ulteriormente il ristoro dei clienti attraverso lo storno diretto a favore di questi ultimi e ha ritenuto non più attuale e neppure grave l’esigenza cautelare indicata dalle compagnie di settore, che era stata ritenuta rilevante in sede cautelare davanti al Tar. Così, infatti, motiva il Consiglio di Stato: “stante sia il lungo tempo trascorso dall’accertato inadempimento, sia la possibilità di provvedervi in via spontanea proponendo fin da ora […] almeno un piano di storno scaglionato e coerente col riallineamento alla cadenza mensile della fatturazione, con progressiva estensione a tutta la clientela, se del caso facendo salvi gli eventuali conguagli”.
Aggiunge il Consiglio di Stato, se è vero che “spetta all’opportuna sede del merito di verificare il definitivo titolo da cui detto storno discende, occorre dire fin d’ora come lo storno stesso sia non già una diretta integrazione dei contratti in essere, ma l’effetto conseguente al riassetto della cadenza di fatturazione, non tempestivamente colto da parte appellante”, benché ormai statuito anche a livello legislativo.