Media, serve un’agenzia di rating
I media influenzano la pubblica opinione e l’agenda politica. Che siano il quarto potere o, più semplicemente, un postulato della democrazia non è a questi fini decisivo. È certo, invece, che come tutti i servizi essenziali, come tutte le strutture della democrazia, i media hanno una responsabilità di cui occorre essere consapevoli. Come i partiti, che concorrono alla vita democratica e che devono perciò stesso avere una struttura adatta e trasparente, così anche i media devono fornire garanzie nel momento in cui si propongono come strumenti per la formazione della pubblica opinione. Quanto meno i media più rilevanti, siano carta stampata, televisione o internet. Se, per citare un noto personaggio umoristico di qualche decennio fa, il giornalista deve garantire non solo la freschezza della notizia, ma anche la sua attendibilità, occorrerebbe una qualche verifica della veridicità dei dati divulgati, del modo in cui le notizie sono riportate o taciute. C’è assoluta discrezionalità in questo campo?
La risposta dovrebbe essere: no. Esistono rimedi per verificare la correttezza dell’informazione data o negata? Al momento questi strumenti appaiono deboli. La querela della persona offesa appare sempre di più uno strumento insufficiente. L’azione di risarcimento del danno interviene sempre ex post e assicura la compensazione a chi ha subito il torto ma non garantisce la formazione corretta della pubblica opinione. Il garante della privacy? Ha molte potenzialità, ma in questo campo appare ancora debole. La risposta potrebbe essere: siano i lettori giudici dei loro giornali! Ma anche questa prospettiva appare insufficiente. I lettori dei giornali sono come i supporter di un partito che sentono solo i comizi del partito prescelto e non gli altri. I lettori comprano spesso lo stesso giornale per scelta preconcetta e per abitudine. Pochi possono confrontare quello che dice il “proprio” giornale con quello che dicono gli altri. Ci sarebbe l’Ordine dei giornalisti, ma non sembra abbia mai considerato la propria funzione estesa a questo compito. Eppure è evidente che non sempre l’informazione è corretta, non sempre si dice ciò che si sa o tutto ciò che si sa, non sempre i dati sono oggettivamente riportati. Così come accade che i media si controllino l’un l’altro sulle notizie da far uscire e come farle uscire.
Ora, tanto è importante l’informazione per la corretta formazione dell’opinione pubblica, quanto è pericoloso che essa diventi un controllo della pubblica opinione con la divulgazione non corretta di notizie e dati. E neppure il pluralismo è in grado, per il controllo reciproco che le varie testate si fanno, di evitare questo effetto.
Nel mondo economico la credibilità di un operatore è registrata dalle agenzie di rating. Ora molti ne parlano male, eppure nessuno osa pensare di metterle fuori legge: il rimedio sarebbe peggiore del male. Semmai si pensa di aumentarle per rendere più concorrenziale e oggettivo il loro responso.
Ecco, anche per le fonti d’informazione servirebbe uno strumento analogo. Sarebbe necessaria la verifica terza del grado di veridicità e di completezza che le fonti d’informazione garantiscono nel dare o nel non dare le notizie. Perché se è vero che l’informazione, almeno quella professionale, dovrebbe avere il ruolo di dare una gerarchia alle notizie, non è neppure possibile lasciare ai media un’assoluta discrezionalità nel compiere le scelte. Altrimenti si passerebbe dall’informazione della pubblica opinione al suo controllo. E ciò non è coerente con l’articolo 21 della Costituzione. Non dunque controllo, ma verifica delle modalità dell’informazione e pubblicità dei dati della verifica.